Le nostre matrici: miti norreni e Via della Conoscenza nelle pitture rupestri

Diffusa nell’arco alpino in Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Francia e Svizzera, una balma è una grotta nata da una fenditura naturale o, più spesso, dall’arresto lungo un pendio di un masso di notevoli dimensioni trasportato verso fondovalle da un ghiacciaio e rimasto in sito dopo il ritiro del ghiacciaio stesso.fda-2016-09-18-balma-cervi-001Si caratterizza dall’avere una parte aggettante che costituisce un riparo naturale, utilizzato in epoca preistorica come abitazione, all’occorrenza scavandone il fondo fin dov’era possibile per ricavare maggiore spazio e chiudendone i lati più esposti mediante muretti a secco. In alcune balme sono state rinvenute mensole, platee per il fuoco, oggetti di uso comune, incisioni rupestri e persino primordiali affreschi.
Il termine, di origine forse celtica (balmen, alta pietra) o latina (valva, apertura) ha originato toponimi particolarmente diffusi in Valle d’Aosta e Piemonte: il borgo di Barmasc nel comune di Ayas o la località Balma nel comune di Quittengo, nel Biellese, nota per le cave di sienite per lo sfruttamento delle quali venne realizzata una ferrovia a scartamento ridotto attiva dal 1891 al 1958 che, in 13 km di percorso, collegava la località estrattiva con Biella.fda-2016-09-18-balma-cervi-002Una delle più notevoli, sotto la quale sono stati redificati alcuni rustici edifici, è la Balma Boves: si trova nel comune di Sanfront, in provincia di Cuneo all’imbocco della Valle Po e costituisce un microcosmo composto da pollai, abitazioni, stalle, tinaie, essiccatoi, locali per la conservazione dei formaggi, il tutto ottenuto adattando al meglio l’insediamento alla conformazione naturale dell’ambiente.fda-2016-09-18-balma-cervi-003Quella oggi considerata più interessante a fini etnografici ed antropologici si trova nei dintorni del comune di Crodo, in Valle Antigorio, nella provincia del Verbano Cusio Ossola. Qui venne individuata nel 2008 una balma di notevoli dimensioni successivamente denominata Balma dei Cervi: un sito archeologico di grande valore che conserva pitture rupestri raffiguranti 37 figure antropomorfe ritratte in movimento dipinte in ocra rossa e blu su un fronte esteso per sette metri.fda-2016-09-18-balma-cervi-004Il Piemonte annovera la presenza di altri siti noti da tempo: il Balm d’la Vardaiola all’Alpe Veglia, la Rocca di Cavour, la Balma ’d Mondon in val Pellice o il Roccio d’la Fantino – Roccia della Fata, in occitano – per citarne solo alcuni a dimostrazione dell’antichissimo insediamento umano nella regione, ma questo è stato definito il più vasto e forse antico complesso di pitture rupestri delle Alpi Occidentali, e il comune di Crodo ha recentemente ottenuto dalla Fondazione San Paolo una donazione di 40mila euro per il recupero e la messa in sicurezza del sito, il cui accesso è estremamente disagevole e pericoloso.
È attualmente in corso di ultimazione la preparazione di una relazione scientifica con schedatura totale del sito, nel frattempo reso visitabile sia pure ancora con qualche difficoltà, per attuarne la promozione sul web e nelle scuole.
Inizialmente l’area venne secretata e interdetta perché a causa del distacco di alcune parti della crosta calcarea, provvidenzialmente protetta da un velo di aragonite percolata per l’umidità, un accesso indiscriminato avrebbe potuto compromettere irrimediabilmente la conservazione dei dipinti, o comportarne il furto.fda-2016-09-18-balma-cervi-005Gli studiosi potranno formulare ipotesi per comparazione, più o meno attendibili, ma la verità è che ignoreremo sempre quale racconto abbia voluto tramandare la mano che, in modo niente affatto primitivo, ha abilmente creato sfumature nell’ocra rossa e blu dando vita a figure antropomorfe molto simili a quelle camune.
A noi dovrebbe essere sufficiente immaginare trattarsi di storie di uomini, di eroi, forse di dei. Dialoghi con la Natura che oggi non sappiamo più riconoscere, e meno ancora interpretare, nel rispettoso silenzio di un luogo impervio dove non sono state rinvenute tracce di presenza umana stabile. E ciò lascia pensare che potesse trattarsi di un sito sacro destinato a celebrazioni rituali.
La storia, o forse è solo simpatica anedottica, riferisce che fu un cacciatore solitario ad effettuare la scoperta e, quando tornò nel sito accompagnato da un archeologo, fu un cervo altrettanto solitario ad accoglierli, quasi fosse il custode di un tempio.fda-2016-09-18-balma-cervi-006I dipinti non risultano minimamente sfiorati da segni che i cervi che ancora numerosi percorrono l’alta valle prima del corteggiamento, lasciano venendo a strofinare i palchi di corna proprio sulle rocce adiacenti la balma e, conclusa la stagione degli amori autunnali, tornando in inverno a lasciare i palchi destinati alla caduta.
Il cervo non è un animale qualsiasi, ma uno dei simboli più importanti nella cultura celtica: considerato intermediario fra i mondi divino e umano e tradizionalmente denominato Toro delle Fate gli era affidato, tra gli altri, il compito di trainare il carro della Dea.
Nel folclore germanico le loro grandi corna che cadono e ricrescono richiamano Yggdrasil, l’albero della vita detto anche frassino del mondo, sotto il quale vivono quattro cervi.fda-2016-09-18-balma-cervi-007
Ritroviamo il maestoso artiodattilo in molte leggende, nelle quali normalmente accade che mentre l’Eroe sta cacciando in incantevoli boschi incontri un cervo – non raramente bianco – inviato dalla Fata per attirarlo nel proprio regno, e spesso non è che la fata stessa sotto mentite spoglie.
Il cervo scappa e l’eroe inseguendolo si ritrova in luoghi particolari dove lo aspetta l’apprendimento di lezioni fondamentali. Durante l’inseguimento può accadere che il cervo/fata muoia trafitto dalla freccia scagliata dall’eroe, ma quasi sempre resuscita e la storia evolve all’happy end dopo che l’eroe avrà superato dure prove iniziatiche.fda-2016-09-18-balma-cervi-008L’eroe si innamora a prima vista della fata bellissima, sensuale, riccamente vestita e dal portamento regale, sovrana della Natura circostante: un amore vero e profondo, totalmente ricambiato. E vissero a lungo felici e contenti … fino a quando la nostalgia di rivedere luoghi, parenti e amici del mondo umano assale l’eroe. Ma il computo temporale è diverso nel regno delle fate: il nostro crede di essersi assentato soltanto da qualche mese, in realtà nel “mondo basso” possono essere trascorsi anni, addirittura secoli.
Ma soprattutto ignora che si tratta di una prova iniziatica, solo apparentemente riguardante il senso di un amore supremo – che visto così potrebbe apparire possessivo, esclusivo, soffocante e quindi certamente niente affatto evoluto nel senso della consapevolezza – ma in realtà concernente la capacità di lasciar andare gli attaccamenti, condizione inderogabile per procedere lungo la Via della Conoscenza.
La fata gli concede il permesso di tornare nel vecchio mondo ma ponendo alcune condizioni: anzitutto non dovrà mai scendere di sella, e non dovrà mai aprire la scatolina d’oro che ella gli affida come talismano.
Alcune fate avvertono l’amato – perché lo è realmente, solo che è giunto per lui il momento di dismettere i panni del toyboy per mostrarsi degno di tanta eleganza, sensualità, potere, treno di vita da giovin signore: in una parola della Conoscenza – della peculiarità del divieto e dei rischi. Ma la maggior parte delle fate non lo fa deliberatamente, mettendo alla prova la lealtà del tipo, spesso tutt’altro che ferrea tanto è vero che anche nei rari casi in cui egli viene amorosamente avvertito del pericolo la consegna viene puntualmente violata: mentre montando un magnifico destriero l’eroe sta trotterellando verso casa un vecchio che conduce un carro si accascia a terra, e il carro stesso gli si rovescia addosso rischiando di schiacciarlo.
L’eroe, scordandosi del divieto imposto dalla fata, balza di sella preso dalla pena per il poveretto e gli corre accanto per soccorrerlo. Ma in quell’istante il vecchio, insospettatamente agile e forte, si alza di scatto afferrando l’eroe per la gola e soffocandolo: altri non era che il Tempo, che gli restituiva con l’inganno gli anni trascorsi.
E ciao fata… morto un toyboy se ne fa un altro. Si spera più meritevole.
La morale della favola sembra improntata ad aridità e cinismo, ma in realtà non è così: secondo la tradizione ancestrale la Via della Conoscenza comporta l’attribuzione di doni – in modo assolutamente inappropriato definiti poteri – che non possono, né devono, essere distribuiti a chiunque. E ciò imponeva, ed impone tuttora al di là del buonismo newage e della spiritualità ammannita alle masse, un vero e proprio triage. Può apparire cinico e crudele, ma non è materia di giudizio: è così. Il mondo della Conoscenza (o della Regola) non è quello della dicotomia bene/male giusto/sbagliato morale/immorale lecito/illecito: quello è il mondo dei preti e dei loro emuli pseudo spirituali, quelli delle manine di luce e altre buddhanate. E chi vi è stato ammesso assume su di sè l’obbligo e la responsabilità della decisione. È proprio per tale ragione che la Fata simbolica mette alla prova l’iniziando.
Ne scrivemmo il 30 gennaio 2016 nell’articolo La donna è mobile: i vampiri energetici, leggibile qui.
Attraverso la nostra favola apprendiamo anche come il cervo fosse visto indirettamente come psicopompo, in questo senso associato a Samhain, momento in cui le porte dell’Altro Mondo si aprono per lasciar fluire in questo gli esseri fatati del Sidhe.
Il cervo maschio, simbolo di rapidità, prestanza, agilità e vigore rappresentava il guerriero, il capo branco, la solitaria incarnazione di una forza sintonica con i ritmi della Natura, nell’occorrenza annuale della perdita e della ricrescita delle sue corna, più possenti delle precedenti. E come vita, morte e rinascita costituivano il ciclo della vegetazione, allo stesso modo il cervo e le sue corna rappresentavano potente simbolo di speranza, longevità e abbondanza, simboleggiando l’aspetto del divino della Natura che pur appartenendo al regno animale viveva un fenomeno vegetale. Per tale ragione i Celti usavano molti talismani in corno di cervo per evocarne le qualità.
Il cervo bianco era inoltre associato al dio Lugh e alla luce segreta del sole, simbolo di colui che ha superato le prove di trasformazione e rinnovamento della propria personalità, ottenendo la conoscenza e l’iniziazione.
Il fatto che la Fata, e quindi Donna, appaia in forma di cervo maschio riporta infine non casualmente al mito dell’Androgino, al quale ho accennato il 9 settembre 2015 in Consapevolezze 1: Dio è nato Donna? leggibile qui.fda-2016-09-18-balma-cervi-009Le pitture rupestri della Valle Antigorio saranno quindi anche solo figure antropomorfe primitive ma, se le sappiamo osservare oltre l’aspetto raffigurativo e materico, ci inducono a lasciare gli angusti confini del pragmatismo per individuarne i potenti significati apotropaici, mistici ed esoterici.

Alberto C. Steiner